La Corte di Cassazione ha dettagliato il ventaglio di ipotesi decadenziali che si sono create con la modifica dell’art. 6 L. n. 604/1966 ad opera dell’art. 32 L. n. 183/2010.
(A) L’ipotesi ordinaria, data la natura facoltativa del tentativo di conciliazione, è quella del lavoratore che, dopo aver comunicato al datore di lavoro l’atto di impugnativa del licenziamento, proponga direttamente il ricorso al giudice: in tal caso, deve rispettare il suddetto termine di 180 giorni.
(B) Invece, se all’impugnazione il lavoratore fa seguire, entro il termine di 180 giorni, la «comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato», si configurano tre fattispecie.
(B1) Innanzi tutto può accadere che la procedura richiesta sia accettata dalla controparte e poi espletata ma poi si concluda con un mancato accordo: resta efficace l’originario termine di 180 giorni dall’impugnativa stragiudiziale del licenziamento”, precisandosi tuttavia che esso, ai sensi dell’art. 410 c.p.c., comma 2, è sospeso «per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi»(così Cass. n. 14108/2018).
(B2) Può, altresì, accadere che controparte rifiuti esplicitamente la procedura conciliativa: da tale rifiuto decorre il termine di sessanta giorniper la proposizione del ricorso giudiziale, insensibile alla disciplina generale della sospensione dei termini di decadenza prevista dall’art. 410 c.p.c., comma 2 (così Cass. n. 27948/2018).
(B3) L’ultima ipotesi è quella in cui controparte non intraprende alcuna iniziativa per aderire alla richiesta di conciliazione: nel caso del mancato accordo necessario all’espletamento della procedura di conciliazione, che matura allorquando la controparte non abbia accettato la procedura depositando, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente difese, eccezioni e domande riconvenzionali (cfr. art. 410 c.p.c., comma 7), solo dallo spirare di tale termine di venti giorni, evento significativo della non accettazione della procedura che pertanto abortisce in partenza e non viene svolta, decorre un nuovo ed autonomo termine di decadenza che l’ultima parte dell’art. 6, comma 2, più volte citato fissa, inequivocabilmente, in un lasso temporale di sessanta giorni.
Ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, la Cassazione ha, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di impugnativa del licenziamento individuale L. n. 604 del 1966, ex art. 6, come modificato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1, ove alla richiesta, effettuata dal lavoratore, di tentativo di conciliazione o arbitrato nel termine di 180 giorni dall’impugnazione stragiudiziale consegua il mancato accordo necessario al relativo espletamento, in quanto la controparte non depositi presso la commissione di conciliazione, entro 20 giorni dal ricevimento della copia della richiesta, la memoria prevista dall’art. 410 c.p.c., comma 7, dallo scadere di detto termine di 20 giorni decorre l’ulteriore termine di 60 giorni entro il quale il lavoratore medesimo è tenuto a presentare, ai sensi dell’ultima parte del citato art. 6, comma 2, il ricorso al giudice a pena di decadenza».