La Cassazione, sollecitata dall’ottimo Lorenzo Sisti, legale dell’agente, ha confermato l’orientamento espresso nell’ordinanza 2.8.2023 n. 23547.
Ha, pertanto, ritenuto incluso il minimo provvigionale garantito nella base di computo dell’indennità di cessazione del rapporto disciplinata dall’art. 1751 c.c.
Ovviamente la questione si pone soltanto nei casi in cui, come nella fattispecie, il c.d. “fisso provvigionale” sia superiore alle provvigioni effettivamente maturate e la Suprema Corte l’ha risolta facendo, soprattutto, leva sul disposto di cui al comma 3 dell’art. 1751 c.c.: «va [infatti] considerato che l’art. 1751, 3 comma parla più ampiamente di retribuzioni riscosse e non solo di provvigioni».
«Ciò non a caso», rileva l’ordinanza, «ma in conformità alla direttiva europea 86/653».
Dunque ed in buona sostanza, «Stabilire se occorra prendere a riferimento solo le provvigioni effettivamente percepite o anche le altre “retribuzioni riscosse” nell’arco di tale periodo è una questione che appare dunque risolta dalla norma codicistica che – in conformità alla direttiva europea 86/653 (la quale distingue retribuzione e provvigioni agli artt. 6, commi 1 e 2 e 17) di cui costituisce attuazione – non fa riferimento soltanto alle provvigioni ma anche alle altre somme che la norma indica col termine retribuzioni».
Il termine retribuzioni, conclude il provvedimento, «può [quindi] comprendere anche fissi provvigionali, compenso per patto di non concorrenza, rimborsi spese e qualsiasi altra somma erogata in via sinallagmatica rispetto al contratto, secondo il più concetto ampio di retribuzione accolto dalla direttiva europea cit.».
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