Il contenzioso nasce perché l’Inps aveva sostenuto l’inevitabilità dell’acquisizione di una socia accomandataria di S.a.s. (altresì madre dell’altra socia accomandataria) alla gestione commercianti in ragione della sola delibera di variazione anagrafica pervenuta dalla CCIAA, che è stata «considerata domanda in quanto il contribuente non viene intercettato in esito a una vera e propria attività investigativa dell‘Istituto, ma a seguito di pratica da lui stesso inoltrata, sebbene non abbia espresso la volontà di iscriversi».
Tale prospettazione non ha persuaso la Giudice del Lavoro di Piacenza, secondo la quale «alcun meccanismo larvatamente transitivo [può] giustificare – a norma di legge – l’apertura di una posizione previdenziale (in seno alla Gestione dei commercianti) a carico del socio (nella specie socio accomandatario di s.a.s.) di una compagine commerciale se non in presenza delle (…) stringenti condizioni enunciate dall’art. 1, comma 2013, della L. n. 662/1996, letto in combinato disposto con l’art. 1 della L. n. 1397/1960».
Invero «le opposizioni ad avviso di addebito configurano delle domande di accertamento negativo del credito; pertanto, è onere dell’intimante opposto che riveste la posizione di attore in senso sostanziale», nella fattispecie l’Inps, «fornire la prova dei fatti costituenti il presupposto della posizione creditoria vantata».
Ad avviso del Tribunale, pertanto, l’istituto previdenziale «avrebbe dovuto offrire elementi probatori circa l’abitualità e prevalenza della partecipazione personale di quest’ultima al lavoro aziendale, come richiesto dall’art. 1, comma 203, della L. n. 662/1996».
Ciò in continuità con l’orientamento della Cassazione, la quale «ha precisato – con sent. n. 21511/2018 – come “La qualità di socio accomandatario non [sia] sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, essendo necessaria anche la partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza, la cui prova è a carico dell’istituto assicuratore”».
«Alla luce di quanto sopra», conclude la sentenza, «la previsione di automatismi si risolve in un’inammissibile presunzione assoluta, la quale oblitera di considerare tutti i concorrenti parametri imposti dalla normativa di riferimento a giustificazione dell’eventuale provvedimento amministrativo d’apertura, a carico della persona fisica del socio, di una posizione assicurativa».
a margine della questione principale se ne poneva una seconda, relativa ad un circoscritto periodo di due mesi durante il quale la ricorrente aveva, lealmente, riconosciuto d’aver aiutato la figlia.
L’istruttoria orale ha fatto emergere la natura «del tutto eccezionale e straordinaria (oltre che limitatamente ad alcune ore della giornata)» di tale prestazione, ragion per cui il Tribunale ne ha escluso l’assoggettamento a contribuzione previdenziale – anche per quel limitato arco temporale – ritenendo che la stessa «sia, piuttosto, da ricondursi alle collaborazioni occasionali di tipo gratuito, in un contesto nel quale il rapporto lavorativo tra madre e figlia, stante il vincolo parentale che le lega, deve intendersi assistito da un’obbligazione di natura morale e da una presunzione di gratuità».