La prescrizione dei crediti retributivi, nel pubblico impiego contrattualizzato, continua a decorrere in costanza di rapporto, dal momento di loro progressiva insorgenza, o dalla sua cessazione, per quelli originati da essa (Cass., Sez. Un., 28.12.2023 n. 36197)

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È noto «che, per effetto della modulazione attuata dalla legge n. 92/2012 e dal d.lgs. 23/2015, nel rapporto di lavoro privato a tempo indeterminato – in mancanza dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, con il conseguente venir meno di un regime di stabilità – sia stata ritenuta», da Cass. 6 settembre 2022 n. 26246, «la decorrenza, per tutti i diritti non prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92/2012, del termine di prescrizione, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro».

Le Sezioni Unite si sono proposte di «verificare se analoga conclusione sia estensibile anche ai rapporti di lavoro pubblico».

La risposta, negativa, è stata motivata con «l’inconfigurabilità di un metus».

Le Sezioni Unite, infatti, hanno sostenuto che «debba essere negata una piena parificazione dei rapporti di lavoro privato e pubblico contrattualizzato», in continuità con la giurisprudenza di legittimità che ha «correttamente ribadito la distinzione tra rapporto di lavoro privato e di pubblico impiego contrattualizzato» (il riferimento riguarda Cass. 19 novembre 2021, n. 35676).

In particolare, Cass. 9 giugno 2016, n. 11868 ha affermato che «una eventuale modulazione delle tutele nell’ambito dell’impiego pubblico contrattualizzato richiede da parte del legislatore una ponderazione di interessi diversa da quella compiuta per l’impiego privato; poiché, come avvertito dalla Corte Costituzionale, mentre in quest’ultimo il potere di licenziamento del datore di lavoro è limitato allo scopo di tutelare il dipendente, nel settore pubblico il potere di risolvere il rapporto di lavoro, è circondato da garanzie e limiti che sono posti non solo e non tanto nell’interesse del soggetto da rimuovere, ma anche e soprattutto a protezione di più generali interessi collettivi (Corte Cost. 24.10.2008 n. 351). Viene, cioè, in rilievo non l’art. 41, primo e secondo comma, della Costituzione, bensì l’art. 97 della Carta fondamentale, che impone di assicurare il buon andamento e la imparzialità della amministrazione pubblica».

Con il che le Sezioni Unite hanno ritenuto di “evincere” «con nitida evidenza come la questione qui all’esame sia assolutamente diversa da quella relativa al settore privato, nel quale non sussiste alcuna conformazione dell’azione datoriale ai principi costituzionali innanzi richiamati, essendo la norma di riferimento invece l’art. 41 della Carta fondamentale. Sicché, da ciò consegue la piena armonia, con i richiamati insegnamenti del giudice costituzionale e di legittimità, della sentenza di questa Corte 6 settembre 2022, n. 26246 (che anzi conferma la necessità di mantenere la differente decorrenza, in corso di rapporto, della prescrizione nei rapporti di pubblico impiego contrattualizzato, assistiti dal regime di stabilità), che, in virtù delle rilevanti modifiche normative sopravvenute nella disciplina del lavoro privato, ha dovuto completamente ridisegnare l’area della stabilità ovvero dell’instabilità a vantaggio di quest’ultima».

Conclusivamente, la sentenza ha «affermat[o] con chiarezza l’inconfigurabilità di una situazione psicologica di soggezione del cittadino verso un potere dello Stato, quale la pubblica amministrazione, nella fisiologia del sistema».

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