Nella fattispecie il Tribunale di Parma ha condiviso la giurisprudenza della Suprema Corte (con particolare riferimento alla sentenza 15.10.2019 n. 26023).
Innanzitutto ha premesso che «la valutazione relativa alla sussistenza del (…) impedimento alla prosecuzione del rapporto deve essere operata con riferimento, non già ai fatti astrattamente considerati, bensì agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto».
Dopo di che ha proseguito rilevando come nell’ipotesi di dipendenti di istituto di credito, «l’idoneità del comportamento contestato a ledere il rapporto fiduciario (…) deve essere valutata con particolare rigore ed a prescindere dalla sussistenza di un danno effettivo per il datore di lavoro», poiché tale rapporto «è più intenso nel settore bancario».
Invero, «la giusta causa di licenziamento di un dipendente di banca deve essere apprezzata, non solo con riguardo all’interesse patrimoniale del datore di lavoro, ma anche alla potenziale lesione dell’interesse pubblico alla sana e prudente gestione del credito. Assume, dunque, particolare rilievo il rigoroso rispetto da parte del dipendente delle regole dettate a tutela di tali beni».
Di conseguenza, «L’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi, quindi, al contrario di quanto vale per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, perciò, la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, alla sola condizione che tale grave inadempimento o tale grave comportamento abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore».