L’indennità di mancato preavviso, osserva la Cassazione, non rientra nella base di computo del TFR poiché – è la motivazione – essa non è dipendente dal rapporto di lavoro ma è, viceversa, riferibile ad un periodo non lavorato, una volta avvenuta la cessazione del rapporto (Cass. 29.11.2012, n. 21270 e Cass. 5.10.2009, n. 21216).
La natura obbligatoria del preavviso, prosegue la Suprema Corte, comporta la risoluzione immediata del rapporto, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell’eservizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l’efficacia sino al termine del period di preavviso (Cass. 4.11.2010, n. 22443, Cass. 11.6.2018, n. 15495 e Cass. 21.5.2007, n. 11740).
La conseguenza che ne trae il Collegio è che il periodo di mancato preavviso deve essere escluso dal computo delle mensilità aggiuntive, delle ferie e del TFR in quanto, essendo mancato l’effettivo servizio, il lavoratore ha diritto esclusivamente alla indennità sostitutiva del preavviso, ma non anche al suo calcolo nel TFR.
Il preavviso di licenziamento, è l’ultimo rilievo che viene svolto nel provvedimento in esame, non ha efficacia reale, bensì obbligatoria; dunque, qualora una delle parti receda con effetto immediato il rapporto si risolve e residua l’unico obbligo, della parte recedente, di corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso (Cass. n. 21216/2009 e Cass. n. 17248/2015).