Insufficiente il risarcimento del Jobs Act nelle piccolo imprese (Corte Cost. 22.7.2022, n. 183)

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Il Giudice delle Leggi, chiamato ad esprimersi sulla denunciata illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015, che disciplina le conseguenze del licenziamento illegittimo nelle “piccole imprese”, ha dichiarato «inammissibili» le questioni sollevate.

Però non si è lasciato pregare ed ha proclamato, senza mezzi termini, che la materia va «rivista in termini complessivi».

Innanzitutto perché «un’indennità costretta entro l’esiguo divario tra un minimo di tre e un massimo di sei mensilità vanifica l’esigenza di adeguarne l’importo alla specificità di ogni singola vicenda, nella prospettiva di un congruo ristoro e di un’efficace deterrenza, che consideri tutti i criteri rilevanti enucleati dalle pronunce di questa Corte e concorra a configurare il licenziamento come extrema ratio».

Secondariamente in quanto «il limitato scarto tra il minimo e il massimo determinati dalla legge conferisce un rilievo preponderante, se non esclusivo, al numero dei dipendenti, che, a ben vedere, non rispecchia di per sé l’effettiva forza economica del datore di lavoro, né la gravità del licenziamento arbitrario e neppure fornisce parametri plausibili per una liquidazione del danno che si approssimi alle particolarità delle vicende concrete».

Insomma, «in un quadro dominato dall’incessante evoluzione della tecnologia e dalla trasformazione dei processi produttivi, al contenuto numero di occupati possono fare riscontro cospicui investimenti in capitali e un consistente volume di affari».

Quindi «Il criterio incentrato sul solo numero degli occupati non risponde (…) all’esigenza di non gravare di costi sproporzionati realtà produttive e organizzative che siano effettivamente inidonee a sostenerli».

Dunque ed in buona sostanza, «Il limite uniforme e invalicabile di sei mensilità, che si applica a datori di lavoro imprenditori e non, opera in riferimento ad attività tra loro eterogenee, accomunate dal dato del numero dei dipendenti occupati, sprovvisto di per sé di una significativa valenza», mentre «un sistema siffatto non attua quell’equilibrato componimento tra i contrapposti interessi, che rappresenta la funzione primaria di un’efficace tutela indennitaria contro i licenziamenti illegittimi».

Tuttavia, dopo aver affermato «la necessità che l’ordinamento si doti di rimedi adeguati per i licenziamenti illegittimi intimati dai datori di lavoro che hanno in comune il dato numerico dei dipendenti», la Corte ha osservato che tale compito è senz’altro appannaggio del legislatore.

Di qui la dichiarazione di inammissibilità delle questioni sollevate.

Attenzione, peraltro, al monito finale.

La Corte, infatti, non ha potuto «esimersi dal segnalare che UN ULTERIORE PROTRARSI DELL’INERZIA LEGISLATIVA non sarebbe tollerabile e LA INDURREBBE, ove nuovamente investita, A PROVVEDERE DIRETTAMENTE».

A buon intenditor…

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