Dalla “Fornero” in poi, la prescrizione non dipende più dalle dimensioni aziendali e decorre dalla cessazione del rapporto (Cass. 6.9.2022 n. 26246, rel. Patti)

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La sentenza è un bel compendio (32 pagine!) dei principî di diritto rilevanti in materia, ma se ne può tentare una sintesi.

Pietra angolare del provvedimento è la convinzione che «il criterio di conoscibilità del dies a quo di decorrenza della prescrizione dei diritti del lavoratore de[bba] soddisfare un’esigenza di conoscibilità chiara, predeterminata e di semplice identificazione»

Il che presuppone, ad avviso della Corte, «che, fin dall’instaurazione del rapporto, ognuna delle parti sappia quali siano i diritti» e soprattutto «quando e “fino a quando” possano essere esercitati».

Ciò dipende(va) dal regime di stabilità del rapporto di lavoro.

E «perchè del regime di stabilità o meno del rapporto lavorativo, ai fini di immediata e semplice individuazione del termine di decorrenza della prescrizione (in costanza di rapporto, nel primo caso; ovvero soltanto dalla sua cessazione, nel secondo), si abbia una chiara conoscibilità, in via di generale predeterminazione, occorre che esso risulti (…) fin dal momento della sua istituzione», sulla base di una valutazione effettuata, necessariamente, «ex ante».

Tali condizioni, osserva la Corte, sono venute meno con l’introduzione della “Fornero” prima, e del “Jobs Act “ poi: «Al di là della natura eccezionale o meno della tutela reintegratoria», afferma la Cassazione, «non è seriamente controvertibile che essa, rispetto alla tutela indennitaria e tanto più per effetto degli art. 3 e 4 d.lgs. 23/2015, abbia ormai un carattere recessivo».

In conclusione «deve allora essere escluso, per la mancanza dei presupposti di predeterminatezza certa della fattispecie di risoluzione e sopratutto di una loro tutela adeguata, che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del decreto legislativo n. 23 del 2015, sia assistito da un regime di stabilità»

Ne deriva, secondo la sentenza in esame, «non già la sospensione (…), bensì la decorrenza originaria del termine di prescrizione, a norma del combinato disposto degli art. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro».

La Cassazione pone un limite temporale.

Il nuovo regime, invero, riguarda soltanto «quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012».

Ecco la massima riassuntiva dell’articolato iter argomentativo: «Il rapporto di lavoro a termpo indeterminato, così come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del decreto legislativo n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa della fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli art. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro».

L’INL (nota prot. n. 1959 del 30.9.2022) si è subito adeguato, ritenendo «in parte superata la nota prot. n. 595 del 23 gennaio 2020», relativa, appunto, alla decorrenza del termine quinquennale di prescrizione.

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