No alla prova per testi del licenziamento (Cass. 8.9.2022 n. 26532, rel. Michelini)

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La Cassazione ha imposto, con decisione, lo “stop” alla prassi, piuttosto diffusa e, pervero, consigliata anche dai più attenti professionisti del settore, che vede il datore di lavoro circondarsi di persone (almeno due) per far loro testimoniare l’eventuale rifiuto, da parte del lavoratore, di accettare la consegna della lettera di licenziamento.

«Altrimenti», sostiene la Suprema Corte, «la testimonianza conterrebbe inevitabilmente al suo interno la prova orale dell’esistenza scritta di un atto per il quale la forma è richiesta ad substantiam».

Dunque ed in buona sostanza, «non è consentita la prova testimoniale di un contratto (o di un atto unilaterale, ex art. 2724 c.c.) di cui la legge preveda la forma scritta a pena di nullità se non nel caso indicato dal precedente art. 2724 n. 3 c.c., vale a dire quando il documento sia andato perduto senza colpa».

Inoltre «Il divieto di prova orale stabilito dall’art. 2725 c.c. su atti di cui la legge prevede la forma scritta a pena di nullità», aggiunge il collegio, «non è [in ogni caso] superabile con l’esercizio dei poteri istruttori del giudice del lavoro».

È infatti noto che l’art. 421, comma 2, prima parte, c.c., nell’attribuire al giudice del lavoro il potere di ammettere d’ufficio ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, «si riferisce non ai requisiti di forma previsti (ad substantiam o ad probationem) per alcuni tipi di contratti, ma ai limiti fissati alla prova testimoniale, in via generale, dagli artt. 2721, 2722 e 2723 stesso codice».

Va conseguentemente escluso che possa, a tal fine, supplire la lettera eventualmente prodotta dalla società, «quando di tale documenti non risult[i] la data certa di redazione in epoca anteriore o coeva all’estromissione del lavoratore».

«Né», prosegue la sentenza in esame, «la data potrebbe essere quella riferita dai testi, perché in tal modo si aggirerebbe surrettiziamente quel divieto di prova testimoniale di cui all’art. 2725 c.c.».

La conclusione non può che essere una sola, poiché in tutti i casi in cui non è possibile provare la comunicazione, per iscritta, del licenziamento, «lo stesso risulta nullo per difetto della forma scritta prevista ex lege».

Quindi, al fine di evitare che nel successivo giudizio di impugnazione il lavoratore contesti di aver ricevuto, al momento dell’estromissione, la consegna di una lettera di licenziamento – circostanza che non può essere oggetto di prova orale – gli andrà quantomeno spedita.

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