Anche il dirigente può aver diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute (Cass. 6.6.2020 n. 18140, rel. Bellé)

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È noto il diverso principio consolidatosi, sul punto, in passato: «il lavoratore con qualifica di dirigente che abbia il potere di decidere autonomamente, senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro, circa il periodo nel quale godere delle ferie, ove non abbia fruito delle stesse, non ha diritto ad alcun indennizzo, in quanto se il diritto alle ferie è irrinunciabile, il mancato godimento imputabile esclusivamente al dipendente esclude l’insorgenza del diritto all’indennità sostitutiva, salvo che il lavoratore non dimostri la ricorrenza di eccezionali ed obiettive esigenze aziendali ostative a quell godimento» (nel lavoro privato Cass. 7.6.2005, n. 11786 e Cass. 7.3.1996, n. 1793; nel lavoro pubblico Cass. S.U. 17.4.2009, n. 9146).

Sul tema, osserva la Corte di Cassazione, ha spiegato un’influenza decisiva la normativa c.d. “eurounitaria”.

Secondo Corte di Giustizia 6.11.2018 (Max-Planck), in particolare: «l’articolo 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4.11.2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, e l’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in applicazione della quale la circostanza che un lavoratore non abbia chiesto, durante il periodo di riferimento, di poter esercitare il proprio diritto alle ferie annuali retribuite maturato ai sensi di tali disposizioni comporta l’automatica conseguenza – senza, quindi, previa verifica del fatto che egli sia stato effettivamente posto in condizione di esercitare tale diritto – che detto lavoratore perde il beneficio del diritto in parola e, correlativamente, il proprio diritto a un’indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute in caso di cessazione del rapporto di lavoro».

Tale Direttiva, osserva la Corte di Cassazione, «estende i propri effetti in tema di ferie anche ai dirigenti (…) e deve dunque definirsi come operino, rispetto ad essi, i principi fissati in sede eurounitaria».

Invero la finalità, dichiarata, è quella di «assicurare che il lavoratore sia stato messo effettivamente nelle condizioni di esercitare il proprio diritto alle ferie».

Tre sono i capisaldi che la Corte di Giustizia impone, al giudice nazionale, di valutare:

  1. la necessità che il lavoratore sia invitato «se necessario formalmente» a fruire delle ferie e «nel contempo informandolo – in modo accurato e in tempo utile (…) se egli non ne fruisce, [che] tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento» (punto 45);
  2. la necessità di «evitare una situazione in cui l’onere di assicurarsi dell’esercizio effettivo del diritto alle ferie annuali retribuite sia interamente posto a carico del lavoratore» (punto 43);
  3. la necessità di prevedere, sul piano processuale, che «l’onere della prova, in proposito, incomb[a] [su]l datore di lavoro» sicché la perdita del diritto del lavoratore non può aversi ove il datore «non sia in grado di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto».

«Può essere», riconosce la Suprema Corte, «che, rispetto ad un dirigente, per la normale posizione di minor debolezza e maggiore conoscenza dei dati giuridici, le predette condizioni possano trovare in concreto applicazione di minor rigore, sotto il profilo dell’intensità informativa o del grado di diligenza richiesta al datore di lavoro, ma certamente essi permangono a governare l’istituto dell’attribuzione, perdita o monetizzazione delle ferie».

Del resto, la stessa Corte Costituzionale ha ritenuto che l’art. 5, co. 8, D.L. 95/2012, convertito, con modificazioni, in L. n. 135/2012 (secondo cui, nell’ambito del lavoro pubblico, le ferie, i riposi ed i permessi vanno obbligatoriamente goduti e non si possono corrispondere «in nessun caso» trattamenti economici sostitutivi) non fosse costituzionalmente illegittimo, in quanto «da interpretare nel senso che la perdita del diritto alla monetizzazione non può aversi allorquando il mancato godimento delle ferie sia incolpevole, non solo perché dovuto ad eventi non dovuti alla volontà del lavoratore, ma anche quando ad essere chiamata in causa sia la ”capacità organizzativa del datore di lavoro”», nel senso che quest’ultima va esercitata «in modo da assicurare che le ferie siano effettivamente godute nel corso del rapporto» (Corte Cost. 6.5.2016, n. 95).

Ecco la conclusione cui la Cassazione è pervenuta «in continuità» con la sentenza n. 13613/2020: «il potere del dirigente pubblico di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie, pur se accompagnato da obblighi previsti dalla contrattazione collettiva di comunicazione al datore di lavoro della pianificazione delle attività e dei riposi, non comporta la perdita del diritto, alla cessazione del rapporto, all’indennità sostitutiva delle ferie se il datore di lavoro non dimostra di avere, in esercizio dei propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie e di vaere assciurato altresì che l’organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui il dirigente era preposto non fossero tali da impedire il loro godimento».

Qualcuno si starà domandando se tale orientamento non si ponga in contrasto con il recente arresto di Cass. 24.2.2022, n. 6262 secondo cui, com’è noto, «l’indennità sostitutiva non spetta al lavoratore che, avendo il potere di autodeterminare le proprie ferie, non ne abbia fatto richiesta».

Quel caso, in realtà, non è sovrapponibile, poiché era stato accertato che il dirigente (privato), munito del potere di autorganizzare le ferie, si era «astenuto dal fruire» di esse «dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto alle medesime» (Cass. n. 6262/2022 cit.).

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