Alla fin fine, il ricorso del datore di lavoro è stato, dalla Cassazione, dichiarato inammissibile.
La Suprema Corte, dunque, si è pronunciata dichiarandosi “pienamente concorde” con la tesi accolta nella sentenza impugnata, secondo cui «non può che concludersi che il tempo di vestizione possa considerarsi tempi di lavoro, tale da dover essere retribuito, solo nell’ipotesi in cui il lavoratore durante tale tempo sia eterodiretto dal datore di lavoro che imponga modalità per lo svolgimento di quelle che, diversamente, sono solo attività propedeutiche alla prestazione lavorativa».
Nello specifico, i giudici di merito avevano valorizzato l’aspetto che vedeva i lavoratori tenuti a lasciare in sede, sia le divise aziendali, sia i dispositivi di protezione individuale, di cui il datore di lavoro imponeva l’utilizzo.