Il Tribunale di Milano è, nuovamente, ritornato a statuire sulla nullità del patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c.
Il giudice meneghino ha stabilito che la forma del patto non consente di accertarne la legittimità dal momento che è affetto dalla mancanza di due requisiti: una durata temporale certa e il riconoscimento di un corrispettivo determinabile.
Nel fatto oggetto di causa, invero, la durata del patto veniva correlata al contratto a tempo indeterminato del lavoratore e il corrispettivo risultava, di conseguenza, indeterminabile. La normativa, invece, come prescritto dall’art. 2125 c.c. prevede che i limiti del patto siano ben chiari sia per quanto riguarda la durata, che non può superare i 5 anni per i dirigenti e i 3 anni per tutte le altre categorie, sia per la determinabilità/determinazione del corrispettivo.
Sul primo punto la sentenza richiama l’orientamento della Cassazione il quale prevede che la durata del patto debba essere delimitata ex ante, la circostanza che l’arco di tempo dello stesso sia correlata al rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fa si che sussista, in concreto, la mancata specificazione del limite temporale (Cass. n. 15952/2004).
Quanto al secondo punto, inoltre, la giurisprudenza prevede che il corrispettivo sia congruo rispetto al sacrificio che il lavoratore deve sostenere in quanto costituisce il prezzo di una parziale rinuncia al diritto del lavoro costituzionalmente garantito (da ultimo Cass. n. 5540/2021).
Ulteriore aspetto interessante della sentenza, infine, è quello relativo all’accoglimento della domanda, svolta dall’ex datore di lavoro in via subordinata, volta a far restituire al lavoratore l’importo percepito a titolo di patto di non concorrenza dichiarato nullo.
Il Tribunale, infatti, non ha condiviso la tesi difensiva del lavoratore, secondo cui la somma avrebbe avuto natura retributiva, poiché non è emerso il rateo rientrasse, ad esempio, nelle mensilità aggiuntive, tredicesima e quattordicesima mensilità.