Atteso – e prevedibile – l’epilogo della vicenda giunta al cospetto del Giudice delle Leggi, anche se non propriamente scontato.
Della motivazione, complessa ed articolata, va isolato il rilievo secondo cui «la mancata previsione anche del ricorso per provvedimento d’urgenza ai sensi degli artt. 669-bis, 669-ter e 700 cod. proc. civ., quale atto idoneo a impedire, se proposto nel termine di decadenza, l’inefficacia dell’impugnazione stragiudiziale del primo comma dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966, e a dare accesso alla tutela giurisdizionale», è:
- «contraria al principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), se posta in comparazione con l’idoneità riconosciuta, invece, dalla stessa disposizione censurata alla richiesta di attivazione della procedura conciliativa o arbitrale»;
- «contraria al principio di ragionevolezza (riconducibile anch’esso all’art. 3 Cost.), in riferimento alla finalità sottesa alla previsione del termine di decadenza in esame, essendo la domanda di tutela cautelare idonea a far emergere il contenzioso insito nell’impugnazione dell’atto datoriale».
Infatti, «con la proposizione del ricorso cautelare la controversia sull’atto impugnato è portata dinanzi al giudice ed è quindi raggiunto lo scopo di far emergere il contenzioso su tale atto, affinché il datore di lavoro non resti in uno stato di perdurante incertezza circa la sorte dello stesso», che è poi la ratio ispiratrice della L. n. 183/2010.
In quel caso, dunque, «non sussiste più il rischio che il regime della decadenza in esame vuole evitare – ovvero quello di una contestazione della legittimità del trasferimento (o di un altro atto datoriale, quale innanzitutto il licenziamento) che rimanga silente per lungo tempo, nel solo rispetto del termine prescrizionale dell’azione di annullamento o addirittura senza questo limite nel caso di imprescrittibilità dell’azione di nullità – perché il lavoratore è già uscito allo scoperto nel momento in cui ha adito il giudice della cautela».
Pertanto, «la sanzione della perdita di efficacia dell’impugnativa del trasferimento, ovvero di un altro atto datoriale assoggettato al regime di cui al secondo comma dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966, nonostante il tempestivo deposito di un ricorso cautelare, è sproporzionata rispetto al fine perseguito dal legislatore e si pone, altresì, in contrasto con il principio di ragionevolezza».