Secondo la Cassazione la questione involge il tema, cruciale, della selezione degli elementi della fattispecie di illecito, la cui realizzazione o meno influisce sul giudizio di insussistenza del fatto, ai fini del riconoscimento della tutela reintegratoria.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte si dibatteva circa la contestata violazione dell’art. 48, lett. B, del Ccnl 1.2.2013 per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di telecomunicazione, che prevede il licenziamento senza preavviso «per il lavoratore che provochi all’azienda grave nocumento morale o materiale».
Più in particolare, «I comportamenti addebitati al lavoratore nelle lettere d’incolpazione furono, (…), l’inserimento nel sito internet, nonché nel profilo Facebook di un’impresa di ristorazione, dei numeri di telefono mobile e di fax assegnati al lavoratore stesso dalla datrice di lavoro, (…); ed inoltre l’avere indicato la detta datrice di lavoro come cliente dell’impresa».
La Cassazione si è innanzitutto chiesta se i citati comportamenti avessero arrecato alla società un “grave” nocumento, morale o materiale, in quanto «Tale nocumento grave è parte integrante della fattispecie di illecito disciplinare in questione».
Pertanto, «l’accertamento della sua mancanza determina», ad avviso della Suprema Corte, «quella insussistenza del fatto addebitato al lavoratore, prevista dall’art. 18 L. n. 300 del 1970, (…), quale elemento costitutivo del diritto al ripristino del rapporto di lavoro».
Ritiene, infatti, la Corte che «Questo elemento» – cioè il diritto al ripristino del rapporto di lavoro – «deve (…) considerarsi esistente QUALORA LA FATTISPECIE DI ILLECITO CONFIGURATA DALLA LEGGE O DAL CONTRATTO SIA REALIZZATA SOLTANTO IN PARTE».
Nella fattispecie la Cassazione ha rilevato che «manca[va] l’accertamento dei fatti costituenti un grave danno ad un’impresa indicata in un annuncio elettronico quale cliente di latra impresa, operante in campo economico e merceologico completamente diverso, oppure di un grave nocumento morale o materiale derivato dall’indicazione del numero di apparecchi telefonici appartenenti all’impresa e forniti in dotazione al lavoratore dipendente».
Quindi ha cassato la sentenza impugnata (C. App. Roma 5.12.2014, che aveva confermato la dichiarazione di legittimità del licenziamento formulata dal Tribunale di Roma) ed ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, per procedere al relativo accertamento.
Il giudizio di insussistenza del “fatto contestato” richiede, in conclusione, la verifica della rispondenza alla fattispecie legale o contrattuale di riferimento e, dunque, implica una valutazione del fatto in termini di inadempimento qualificato dalla sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito.
Sicché la mancanza di uno di essi ne determina l’insussistenza ed apre le porte della reintegrazione.