L’incompatibilità ambientale può determinare il trasferimento del lavoratore (Cass. 24.10.2019 n. 27345, rel. Tricomi)

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La Cassazione ha innanzitutto ricordato la propria giurisprudenza, riferita sia al lavoro privato (Cass. n. 27226/2018), che al pubblico impiego privatizzato (Cass. n. 2143/2017), secondo cui il trasferimento per incompatibilità aziendale/ambientale, trovando la sua ragione nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell’unità produttiva/dell’Amministrazione, va ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive di cui all’art. 2103 c.c., piuttosto che, sia pur atipicamente, a ragioni punitive e disciplinari.

Conseguentemente, secondo la Corte la legittimità del provvedimento datoriale di trasferimento prescinde dalla colpa (in senso lato) dei lavoratori trasferiti, come dall’osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale o procedimentale che sia stabilita per le sanzioni disciplinari.

Il trasferimento, prosegue la sentenza in esame, è subordinato ad una valutazione discrezionale dei fatti che fanno ritenere nociva, per il prestigio ed il buon andamento dell’ufficio, l’ulteriore permamenza dell’impiegato in una determinata sede (così la già citata Cass. n. 2143/2017).

Pertanto, la sussistenza di una situazione di incompatibilità tra il lavoratore ed i suoi colleghi o collaboratori diretti, che importi tensioni personalei o anche contrasti nell’ambiente di lavoro comportanti disorganizzazione e disfunzione, concretizza un’oggettiva esigenza di modifica del luogo di lavoro e va valutata in base al disposto dell’art. 2103 c.c., con conseguente possibilità di trasferimento del lavoratore, sulla base di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Ed infatti, la situazione di incompatibilità riguarda situazioni oggettive o situazioni soggettive valutate secondo un criterio oggettivo, indipendentemente dalla colpevolezza o dalla violazione di doveri d’ufficio del lavoratore, causa di disfunzione e disorganizzazione, non compatibile con il normale svolgimento dell’attività lavorativa (cfr. Cass. n. 10833/2017).

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