L’analisi della Corte di Cassazione muove dalla considerazione che l’equiparazione del licenziamento nullo con quello illegittimo, in applicazione di una sorta di “parallelismo delle tutele”, non appare coerente con il sistema normativo e neppure rispondente ad una precisa scelta del legislatore.
Il licenziamento disciplinato dall’art. 2110 cod.civ. rappresenta, invero, una categoria diversa dal licenziamento per giustificato motivo di cui all’art. 3 della legge nr. 604 del 1966, cui consegue, per l’ipotesi di violazione, un differente vizio dell’atto datoriale: nullità piuttosto che annullabilità.
È ben presente nella giurisprudenza della Suprema Corte, in relazione a rapporti di lavoro assistiti da tutela obbligatoria e ratione temporisregolati dall’art. 8 cit. (Cass. 15093 del 2009: licenziamento nullo per illiceità del motivo; Cass. nr. 18537 del 2004; Cass. nr. 9549 del 1995: licenziamento nullo perché intimato in violazione dell’art. 2, comma 2, della legge n. 1204 del 1971; Cass. nr. 2856 del 1979: licenziamento per rappresaglia, ante disciplina dell’art. 3 della legge nr. 108 del 1990;), la convinzione secondo cui gli effetti del licenziamento dichiarato nullo non sono disciplinati, in via di estensione analogica, dalla normativa dettata dall’art. 8 della legge nr. 604 del 1966, poiché quest’ultima contiene esclusivamente la disciplina per la diversa ipotesi dell’annullamento del licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo.
In tali ipotesi, in mancanza di un’espressa regolamentazione, la Cassazione ha ritenuto che deve trovare applicazione la disciplina generale del codice civile per l’atto nullo, improduttivo di effetti (nella specie sulla continuità del rapporto di lavoro), secondo il noto brocardo «quod nullum est nullum producit effectum».
Con la dichiarazione di nullità dell’atto estintivo del rapporto di lavoro subordinato, infatti, le obbligazioni contrapposte, nascenti dal contratto di lavoro, restano integre e le parti vengono a trovarsi in una posizione di inadempienza reciproca, originata dall’iniziale rifiuto del creditore di ricevere la prestazione di lavoro e di versare il corrispettivo pattuito, così che si realizza una fattispecie da regolare secondo le norme che disciplinano l’inadempimento delle obbligazioni nei contratti con prestazioni corrispettive.
Coerentemente, la medesima disciplina di diritto civile trova applicazione, ad avviso della Suprema Corte, in caso di licenziamento intimato in violazione dell’art. 2110, comma 2, cod. civ., in relazione ad un rapporto di lavoro non disciplinato dall’art. 18 della legge nr. 300 del 1970, quale pacificamente era quello oggetto di causa.