La premessa da cui muove la Corte di Giustizia è che il lavoratore dev’essere considerato la parte debole nel rapporto di lavoro, cosicché è necessario impedire al datore di lavoro di disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti (sentenze del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a., da C-397/01 a C-403/01, EU:C:2004:584, punto 82; del 25 novembre 2010, Fuß, C-429/09, EU:C:2010:717, punto 80, e del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften, C-684/16, EU:C:2018:874, punto 41).
In tale situazione di debolezza, prosegue la Corte, un lavoratore può essere tranquillamente dissuaso dal far valere espressamente i suoi diritti nei confronti del suo datore di lavoro, dal momento che, in particolare, la loro rivendicazione potrebbe esporlo a misure adottate da quest’ultimo in grado di incidere sul rapporto di lavoro in danno di detto lavoratore (v., in tal senso, sentenze del 25 novembre 2010, Fuß, C-429/09, EU:C:2010:717, punto 81, e del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften, C-684/16, EU:C:2018:874, punto 41).
Alla luce di tali considerazioni, la Corte si interroga sulla necessità di istituire un sistema che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore.
Senza, ragiona la Corte, risulterebbe eccessivamente difficile per i lavoratori, se non impossibile in pratica, far rispettare i diritti ad essi conferiti dall’articolo 31, paragrafo 2, della Carta e dalla direttiva 2003/88, al fine di beneficiare effettivamente della limitazione dell’orario settimanale di lavoro e dei periodi minimi di riposo giornaliero e settimanale previsti dalla direttiva citata.
La determinazione oggettiva e affidabile del numero di ore di lavoro giornaliero e settimanale è, infatti, essenziale per stabilire, da un lato, se la durata massima settimanale di lavoro definita all’articolo 6 della direttiva 2003/88 e comprendente, in conformità alla suddetta disposizione, le ore di lavoro straordinario sia stata rispettata nel periodo di riferimento di cui all’articolo 16, lettera b), o all’articolo 19 di tale direttiva e, dall’altro, se i periodi minimi di riposo giornaliero e settimanale, definiti rispettivamente agli articoli 3 e 5 di detta direttiva, siano stati rispettati nel corso di ciascun periodo di 24 ore per quanto concerne il riposo giornaliero o durante il periodo di riferimento di cui all’articolo 16, lettera a), della medesima direttiva per quanto riguarda il riposo settimanale.
Tenuto conto del fatto che gli Stati membri devono adottare tutte le misure necessarie per garantire il rispetto dei periodi minimi di riposo e per impedire qualsiasi superamento della durata massima settimanale del lavoro al fine di garantire la piena efficacia della direttiva 2003/88, una normativa nazionale che non preveda l’obbligo di ricorrere a uno strumento che consente di stabilire con oggettività e affidabilità il numero di ore di lavoro giornaliero e settimanale non sarebbe idonea a garantire l’effetto utile dei diritti conferiti dall’articolo 31, paragrafo 2, della Carta e da tale direttiva, poiché essa priva sia i datori di lavoro sia i lavoratori della possibilità di verificare se tali diritti sono rispettati e può quindi compromettere l’obiettivo di detta direttiva consistente nel garantire una migliore protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori.
Sottolinea ulteriormente la Corte che, tenuto conto della situazione di debolezza del lavoratore nel rapporto di lavoro, la prova testimoniale non può essere considerata, di per sé sola, come un mezzo di prova efficace idoneo a garantire un rispetto effettivo dei diritti di cui trattasi, dal momento che i lavoratori possono mostrarsi restii a testimoniare contro il loro datore di lavoro a causa del timore di misure adottate da quest’ultimo in grado di incidere sul rapporto di lavoro a loro svantaggio.
Per contro, un sistema che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto dai lavoratori offrirebbe a questi ultimi – è l’opinione della Corte – uno strumento particolarmente efficace per accedere in modo agevole a dati obiettivi e affidabili relativi alla durata effettiva del lavoro da essi realizzato ed è quindi idoneo a facilitare tanto la prova, per tali lavoratori, di una violazione dei diritti loro conferiti dagli articoli 3 e 5 e dall’articolo 6, lettera b), della direttiva 2003/88, i quali precisano il diritto fondamentale sancito all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, quanto il controllo da parte delle autorità e dei giudici nazionali competenti del rispetto effettivo dei diritti in parola
Né si può ritenere che le difficoltà derivanti dall’assenza di un sistema che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore possano essere superate dai poteri di indagine e sanzionatori conferiti dalla normativa nazionale agli organi di controllo, quali l’Ispettorato del lavoro, poiché in assenza di un sistema di tal genere, le suddette autorità sono esse stesse private di un mezzo efficace per ottenere l’accesso a dati oggettivi e affidabili riguardanti la durata dell’orario di lavoro svolto dai lavoratori in ciascuna impresa, che risulterebbe necessario per esercitare la loro missione di controllo e, eventualmente, per infliggere una sanzione (v., in tal senso, sentenza del 30 maggio 2013, Worten, C-342/12, EU:C:2013:355, punto 37 e giurisprudenza citata).
Di conseguenza la Corte conclude che, al fine di assicurare l’effetto utile dei diritti previsti dalla direttiva 2003/88 e del diritto fondamentale sancito dall’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, gli Stati membri devono imporre ai datori di lavoro l’obbligo di predisporre un sistema oggettivo, affidabile e accessibile che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, poiché, in caso contrario, non ci sarebbe modo di stabilire con oggettività e affidabilità né il numero di ore di lavoro così svolte dal lavoratore e la loro collocazione nel tempo, né il numero delle ore svolte al di là dell’orario di lavoro normale, come ore di lavoro straordinario.