Oltre il gruppo societario: la c.d. codatorialità (Cass. 11.2.2019 n. 3899, rel. Garri)

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La distinzione tra “codatorialità” e “unicità del centro di impugnazione del rapporto di lavoro” è argomento di grande interesse.

Eccone i tratti distintivi, così come delineati dalla Corte di Cassazione.

Da un lato, il gruppo di imprese si caratterizza per l’esistenza di un’unica struttura organizzativa e produttiva, per l’integrazione delle attività esercitate dalle diverse imprese, per il coordinamento tecnico, amministrativo e finanziario nonché per lo svolgimento della prestazione di lavoro in modo indifferenziato, in favore delle diverse imprese del gruppo (cfr. Cass. nn. 13809/2017 e 26346/2016).

Dall’altro lato, nella c.d. “codatorialità” uno stesso lavoratore presta contemporaneamente servizio per due datori di lavoro e la sua opera è tale che in essa non possa distinguersi quale parte sia svolta nell’interesse di un datore di lavoro e quale nell’interesse dell’altro,

Conseguentemente, entrambi i fruitori di siffatta attività devono essere considerati solidalmente responsabili delle obbligazioni che scaturiscono da quel rapporto, ai sensi dell’art. 1294 c.c. che stabilisce una presunzione di solidarietà in caso di obbligazione con pluralità di debitori, ove dalla legge o dal titolo non risulti diversamente (così Cass. n. 7704/20128 ed ivi le richiamate sentenze nn. 13646/2015, 3249/2003, 13904/2000 e 3844/1986).

In ambito lavoristico, è la spiegazione della Cassazione, il concetto di impresa e di datore di lavoro è infatti individuabile, sulla base di una “concezione realistica”, nel soggetto che effettivamente utilizza la prestazione di lavoro ed è titolare dell’organizzazione in cui la prestazione stessa è destinata ad inserirsi (cfr. anche Cass. n. 25270/2011).

Quali gli effetti pratici? Che in presenza di una condizione che autorizzerebbe un recesso legittimo dal rapporto, l’atto espulsivo andrebbe, viceversa, considerato illegittimo se tale condizione non fosse comune alle altre società, responsabili in solido con la datrice di lavoro formale, delle obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro.

Ad esempio, la Suprema Corte ha escluso che trovasse applicazione la deroga alla nullità del licenziamento prevista dall’art. 54 comma 1 n. 3 lett. b) della L. n. 151/2000 poiché, nella fattispecie, la cessazione dell’attività di impresa era riferibile solo e soltanto alla formale datrice di lavoro e non anche alle altre società che erano risultate, parimenti, datrici di lavoro.

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