Il danno da perdita di chance costituisce un danno emergente e non un lucro cessante (Cass., Sez. Trib., 7.2.2019 n. 3632)

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La pronuncia è interessante, la vicenda in cui si inserisce ancora di più.

La Corte di Cassazione, infatti, è stata adita in relazione ad una sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate «in controversia avente ad oggetto l’impugnativa del silenzio rifiuto dell’istanza di rimborso dell’Irpef, relativa all’anno di imposta 2005 e versata su somme ricevute dalla banca datrice di lavoro a titolo di risarcimento del danno, a causa della perdita di chance conseguente ad irregolarità verificatesi nello svolgimento di un concorso interno per la promozione a funzionario».

Con la sentenza impugnata, «la C.T.R. riteneva che la perdita di chances costituisse un’ipotesi di lucro cessante per il danno patrimoniale futuro e che rientrasse nella previsione dell’art. 6 T.u.i.r., secondo cui le indennità, anche a titolo risarcitorio, conseguite in sostituzione di redditi, costituiscono redditi della stessa categoria e vanno assoggettate a tassazione».

Preliminarmente, la Cassazione ha osservato: «(…) l’art. 6, comma 2, D.P.R. n. 917/86 contiene una norma di carattere generale, la quale dispone che “i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati”; la norma ha portata generale ed è applicabile a tutti i casi di indennità (anche risarcitorie) sostitutive della retribuzione».

Subito dopo il collegio ha ricordato come «questa Corte (…) [abbia] avuto modo di chiarire che “in tema di imposte sui redditi, in base all’art. 6, comma 2, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo applicabile “ratione temporis”), le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi, mentre non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa (in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto non tassabile il risarcimento ottenuto da un dipendente “da perdita di chance”, consistente nella privazione della possibilità di sviluppi e progressioni nell’attività lavorativa a seguito dell’ingiusta esclusione da un concorso per la progressione in carriera)” ( Sez. 5, Sentenza n. 29579 del 29/12/2011); invero, il titolo al risarcimento del danno, connesso alla “perdita di chance”, non ha natura reddituale, poiché consiste nel ristoro del danno emergente dalla perdita di una possibilità attuale; ne consegue che la chance è anch’essa una entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta chance intesa come attitudine attuale”(Cass. n. 11322/2003)».

Venendo al caso di specie, «il ricorrente ha percepito il risarcimento per la perdita di possibilità conseguente ad irregolarità verificatesi nello svolgimento di un concorso interno per la promozione a funzionario; il giudice del lavoro ha riconosciuto al ricorrente il risarcimento del danno emergente (consistente appunto nella perdita delle possibilità ricollegate complessivamente alla progressione di carriera) e, per la quantificazione dell’importo dovuto, ha fatto ricorso al criterio di valutazione equitativa con riferimento al maggior stipendio non conseguito».

Pertanto, secondo la Suprema Corte «tale criterio rileva ai limitati fini della determinazione del quantum e non è idoneo a mutare il titolo dell’attribuzione, la quale non è riconducibile all’art. 6 T.u.i.r., perchè non ha natura reddituale e non è sostitutiva del reddito non percepito».

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