Nella fattispecie, relativa ad un licenziamento per inidoneità, si discuteva circa l’assolvimento o meno dell’obbligo di repechagea carico del datore di lavoro, che aveva proceduto ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
La Corte d’Appello aveva rilevato che l’indagine delle mansioni a cui adibire l’ex dipendente andava circoscritta all’ambito delineato dalla relazione peritale, svolta nella fase di opposizione avanti al Tribunale.
Alla luce della consulenza tecnica d’ufficio disposta in primo grado, residuavano, nell’ambito delle mansioni astrattamente assegnabili alla lavoratrice, solamente due postazioni compatibili con il suo ridotto stato di salute.
Solo che queste due postazioni erano, al tempo del licenziamento, occupate da altre lavoratrici, una delle quali dipendente di una società appaltatrice.
Secondo la Corte d’Appello l’eventuale pronuncia di illegittimità dell’appalto non avrebbe reso libero il posto di lavoro preteso, spettando pur sempre tale posto alla lavoratrice impiegata in violazione della normativa sull’appalto e/o sulla somministrazione.
La Cassazione ha condiviso tale motivazione, ritenendola assolutamente idonea a consentire l’individuazione delle ragioni che avevano condotto la Corte distrettuale a dichiarare adempiuto l’obbligo di repechageda parte del datore di lavoro.
Per la Suprema Corte, infatti, la Corte distrettuale si era uniformata alla consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, determinato da ragioni tecniche, produttive e organizzative, l’ambito del sindacato giurisdizionale, con riferimento all’obbligo del repechagenon può estendersi alla valutazione delle scelte gestionali ed organizzative dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost.
Conseguentemente, detto obbligo non poteva ritenersi violato quando l’ipotetica possibilità di ricollocazione del lavoratore nella compagine aziendale non fosse compatibile con il concreto assetto organizzativo stabilito dalla parte datoriale (cfr. Cass. n. 21715 del 2918).
Dunque ed in buona sostanza, la Cassazione ha ritenuto infondata l’argomentazione della ricorrente tesa ad imporre al datore di lavoro la modifica del proprio assetto organizzativo (con riguardo all’assegnazione degli altri dipendenti in altre mansioni e alla modifica del loro orario di lavoro) ai fini del reperimento di una postazione per la lavoratrice poi licenziata.