Nella fattispecie il lavoratore aveva impugnato una conciliazione giudiziale, lamentando che avesse «ad oggetto diritti indisponibili».
La Cassazione ha ritenuto «infondati» i motivi di impugnazione, «atteso che la conciliazione giudiziale non è impugnabile (…) perché è stipulata con l’intervento del giudice quale organo pubblico dotato dei caratteri di terzietà ed imparzialità», ed è «proprio l’intervento di un organo pubblico [a] giustifica[re] l’ammissibilità di qualunque oggetto della conciliazione giudiziale».
È noto l’insegnamento della Suprema Corte in proposito: «La conciliazione giudiziale prevista dagli artt. 185 e 420 c.p.c. è una convenzione non assimilabile ad un negozio di diritto privato puro e semplice, caratterizzandosi, strutturalmente, per il necessario intervento del giudice e per le formalità previste dall’art. 8 disp. att. c.p.c. e, funzionalmente, da un lato per l’effetto processuale di chiusura del giudizio nel quale interviene, dal’altro per gli effetti sostanziali derivanti dal negozio giuridico contestualmente stipulato dalle parti, che può avere anche ad oggetto diritti indisponibili del lavoratore; la transazione, invece, negozio anch’esso idoneo alla risoluzione delle contraversie di lavoro qualora abbiano ad oggetto diritti indisponibili, non richiede formalità ad substantiam» (Cass. 26.10.2017, n. 25472).
La sentenza in esame ha, pertanto, «ribadit[o] la validità della conciliazione giudiziale anche se abbia ad oggetto diritti indisponibili, atteso che l’art. 2113, co. 1, c.c. “stabilisce l’invalidità delle rinunzie e transazioni aventi per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi concernenti i rapporti di cui all’art. 409 cod. proc. civ. – disposizione che è conforme al principio generale sancito dall’art. 1966, secondo comma, cod. civ. in tema di nullità delle transazioni correlate a diritti sottratti alla disponibilità delle parti, per loro natura o per espressa disposizione di legge – trova il suo limite di applicazione nella previsione di cui all’ultimo comma del citato art. 2113 cod. civ., che fa salve le conciliazioni intervenute ai sensi degli artt. 185, 410 e 411 cod. proc. civ., ossia quelle conciliazioni nelle quali la posizione del lavoratore viene ad essere adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro per effetto dell’intervento in funzione garantista del terzo (autorità giudiziaria, amministrativa o sindacale) diretto al superamento della presunzione di condizionamento della libertà di espressione del consenso da parte del lavoratore, essendo la posizione di quest’ultimo adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro (Cass. 26/07/2002, n. 11107)».
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