La facoltà, riconosciuta al lavoratore, «di sostituire le ferie all’assenza per malattia per interrompere il decorso del periodo di comporto», ad avviso della Cassazione «non è incondizionata».
«Tuttavia», prosegue la Suprema Corte, «il datore di lavoro, di fronte ad una richiesta del lavoratore di conversione dell’assenza per malattie in ferie, e nell’esercitare il potere, conferitogli dalla legge (art. 2109, secondo comma, cod. civ.), di stabilire la collocazione temporale delle ferie nell’ambito annuale armonizzando le esigenze dell’impresa con gli interessi del lavoratore, è tenuto ad una considerazione e ad una valutazione adeguate alla posizione del lavoratore in quanto esposto, appunto, alla perdita del posto di lavoro con la scadenza del comporto».
Resta comunque «fermo che, allorquando il lavoratore abbia la possibilità di fruire e beneficiare di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto ed in particolare quando le parti sociale abbiano convenuto e previsto, a tal fine, il collocamente in aspettativa, pur non retribuita, un tale obbligo non è ragionevolmente configurabile(Cass. n. 5521 del 2003 e n. 21385 del 2004)».
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