La discovery nel procedimento disciplinare (Cass. 24.8.2022 n. 25287, rel. Esposito)

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Nell’occuparsi dei controlli tramite investigatori privati, Cass. n. 25287/2022 ha affrontato, incidenter tantum, anche la questione relativa alla discovery documentale nell’ambito del procedimento disciplinare.

La Corte, in modo succinto ma efficace, ha sostenuto la “necessità” che, nell’ambito del procedimento disciplinare, «il datore di lavoro, pur non essendovi obbligato dall’art. 7 St. lav., offra all’incolpato la documentazione necessaria al fine di consentirgli un’adeguata difesa», in ossequio «ai principî di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto».

Così facendo il Collegio ha, ulteriormente, ribadito il già enunciato principiio (Cassazione civile, sez. lav., 03.1.2017, n. 50; 13.3.2013, n. 6337; n. 15169/12; n. 23304/10) secondo cui, seppure la Legge n. 300 del 1970, art. 7, non preveda, nell’ambito del procedimento disciplinare, un obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore nei cui confronti sia stata elevata una contestazione disciplinare, la documentazione su cui essa si basa, il datore di lavoro è tenuto ad offrire in consultazione all’incolpato i documenti aziendali laddove l’esame degli stessi sia necessario al fine di permettere alla controparte un’adeguata difesa, in base ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto.

L’esercizio, da parte del lavoratore, del diritto in questione incontra limiti ben precisi.

Occorre, infatti, tenere ben presente la distinzione, magistralmente delineata da Cass. 27.3.2018, n. 7581, tra diritto di accesso ai documenti e diritto di difesa: «In sostanza il discrimen è tra il DIRITTO DI ACCESSO AI DOCUMENTI nella sede disciplinare, che questa Corte ha chiarito non essere tutelato dall’articolo 7 L. 300/1970 (Cassazione civile, sez. lav., 30/08/2007, n. 18288; 17/03/2008, n. 7153) ed il DIRITTO DI DIFESA, la cui tutela, garantita dal suddetto articolo 7, può rendere necessario l’accesso del dipendente agli atti della procedura disciplinare».

Insomma, la giurisprudenza ha intesto evitare che il lavoratore possa costringere, strumentalmente, il datore di lavoro a sottostare a richieste meramente dilatorie.

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