La disciplina legislativa non brilla per chiarezza e ci si è sempre interrogati sul destino della diffida accertativa, una volta che il comitato interregionale abbia respinto il ricorso dell’interessato (o qualora l’opposizione non sia stata nemmeno proposta).
La giurisprudenza di merito non ha esitato ad affermare «Come è agevole notare, il legislatore, nell’art. 12 del d. lgs. 124 del 2004, si disinteressa completamente degli strumenti di tutela giurisdizionale del datore di lavoro e del lavoratore (giacché anche quest’ultimo, cui è sottratta la scelta dei tempi dell’iniziativa e la facoltà di partecipare, con adeguata difesa, all’accertamento, potrebbe avere motivo di dolersi del contenuto della diffida)» (Trib. Pistoia 11.7.2011, G.d.L. De Marzo).
Il principio statuito dall’art. 24 Cost. – che attribuisce la garanzia di poter agire in giudizio a tutela dei propri diritti – impone all’interprete di ricostruire tali strumenti in via sistematica.
È quello che ha fatto la Corte di Cassazione.
Invero, nella fattispecie la Suprema Corte ha chiarito, expressis verbis, quello che si legge tra le righe dell’art. 12, comma 3, D.Lgs. n. 124/2004, e cioè che «Il mancato ricorso o il rigetto dello stesso comportano che la diffida acquisisca efficacia di titolo esecutivo ma non esclude che l’interessato possa contestare in giudizio l’esistenza del diritto in essa riportato».
Di fatto, tale contestazione si realizza nel giudizio di «opposizione al precetto», che «diviene allora la sede nella quale il destinatario della diffida non solo può far valere le proprie ragioni, ma anche ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo» (Trib. Pistoia 11.7.2011, G.d.L. De Marzo cit.).