Un trasferimento d’azienda invalido genera due rapporti di lavoro (Cass. 28.9.2021 n. 26262, rel. Patti)

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La Suprema Corte ha dato atto di un orientamento, giudicato «ormai consolidato», che ha ritenuto «meritevole di continuità».

Secondo la Cassazione (Cass. nn. 8951/2020, 29092/2019, 17876/2019 e 17784/2019), soltanto un legittimo trasferimento d’azienda comporta la continuità di un rapporto di lavoro, che resta unico ed immutato nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all’art. 2112 c.c.

L’unicità del rapporto viene, viceversa, meno qualora il trasferimento sia dichiarato invalido, stante l’instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto («già, e non più, cessionario») alle cui dipendenze il lavoratore continui a lavorare.

Una volta che ne sia accertata l’invalidità, il rapporto con il destinatario della cessione è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente, «sebbene quiescente per l’illegittima cession fino alla declaratoria giudiziale».

Il trasferimento del medesimo rapporto, infatti, si determina solo quando si perfeziona una fattispecie trasclativa conforme al modello legale.

«Diversamente», prosegue la Corte, «nel caso di invalidità della cessione» (per mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 2112 c.c.) «e di inconfigurabilità di una cessione negoziale» (per mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione), quel rapporto di lavoro «non si trasferisce e resta nella titolarità dell’originario cedente» (Cass. 28.2.2019, n. 5998. In senso conforme, tra le altre, Cass. 30.1.2018, n. 2281; Cass. 7.9.2016, n. 17736 e Cass. 18.2.2014, «le quali hanno pure ribadito il consolidato orientamento circa l’interesse ad agire del lavoratore ceduto nonostante la prestazione di lavoro resa in favore del cessionario»).

È in tale contesto che la Suprema Corte ritiene di poter così «spiega[re] come i rapporti di lavoro siano due (uno, de iure, ripristinato nei confronti dell’originario datore di lavoro, tenuto alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora del lavoratore; l‘altro, di fatto, nei confronti del soggetto, già cessionario, effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa), a fronte di una prestazione solo apparentemente unica».

Morale:

  • Accanto ad una prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito con la cessione di ramo d’azienda, abbia instaurato un rapporto di lavoro di fatto…
  • … ve n’è un’altra giuridicamente resa in favore dell’originario datore, con il quale il rapporto di lavoro è stato de iure (anche se non de facto, per il rifiuto ingiustificato del predetto) ripristinato.

Quest’ultimo non può, in conclusione, dirsi meno rilevante sul piano del diritto.

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