La Cassazione ci rammenta che una lettura del verbale di conciliazione, rispettosa dei dovuti canoni interpretativi, esige un’esatta delimitazione dell’ambito della rinuncia “a qualsiasi ulteriore domanda o azione comunque connessi, vicari o anche solo occasionati all’esecuzione e cessazione del rapporto, nonché ad ogni diritto derivante dalla legge o dalla contrattazione collettiva”, nel suo effettivo contenuto transattivo.
E, pertanto, non si può far riferimento a tutte le controversie, potenziali o attuali, ma soltanto a quelle oggetto della statuizione convenzionale delle parti secondo una corretta interpretazione, a norma dell’art. 1364 c.c. (si applicano le regole di interpretazione del contratto, Cass. 10.9.2014, n. 19118) delle espressioni usate dalle stesse, per quanto generali.
Ecco il principio di diritto indicato dalla Suprema Corte: «Nell’interpretazione di una clausola negoziale (…), la comune intenzione dei contraenti deve essere ricercata indagando, oltre che il senso letterale delle parole da verificare alla luce del contesto negoziale integrale ai sensi dell’art. 1363 c.c., anche i criteri di interpretazione soggettiva stabiliti dagli artt. 1369 e 1366 c.c., rispettivamente volti a consentire l’accertamento del significato dell’accordo in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta (in conformità agli interessi che le parti abbiano inteso tutelare mediante la stipulazione negoziale) e ad escludere, mediante un comportamento improntato a lealtà e salvaguardia dell’altrui interesse, interpretazioni in contrasto con gli interessi che le parti abbiano con essa inteso tutelare: in una circolarità del percorso ermeneutico, da un punto di vista logico, che impone all’interprete, dopo aver compiuto l’esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l’intenzione delle parti e di verificare se quest’ultima sia coerente con le restanti disposizioni del contratto e con la loro condotta».