La Cassazione ha posto rimedio ad un fuor d’opera della Corte d’Appello di Napoli (sent. 29.6.2015, n. 4096), che aveva ritenuto soggetto all’ordinario termine di prescrizione decennale il diritto dell’agente all’indennità ex art. 1750 c.c. (come anche il diritto all’indennità ex art. 1751 c.c.).
A fondamento di tale statuizione, la sentenza impugnata aveva posto un’interpretazione restrittiva dell’art. 2948, n. 5, c.c. secondo cui si prescrivono in cinque anni le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro.
Ecco, secondo il giudice di merito tale disposizione sarebbe applicabile unicamente ai crediti sorti nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato.
Tale distinzione, tuttavia, non è trova riscontro nella norma in questione e costituisce, invero, un unicum.
la Suprema Corte, pertanto, ha dato continuità al prevalente orientamento giurisprudenziale, di recente ribadito da Cass. n. 16139/2018, per il quale «Le indennità spettanti al lavoratore al momento della cessazione del rapporto sono assoggettate alla prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 5 cod. civ. a prescindere dalla loro natura, retributiva o previdenziale, in ragione dell’esigenza di evitare le difficoltà probatorie derivanti dall’eccessiva sopravvivenza dei diritti sorti in occasione della chiusura del rapporto».
Invero, le indennità di fine rapporto non sono previste solo nel rapporto di lavoro subordinato, precisa la Corte, ma anche in altre forme contrattuali, che pure prevedono il regolamento di un’attività lavorativa (nello stesso senso Cass. n. 10923/1994).