Interviene la Cassazione per chiarire che la previsione, nel contratto di agenzia, di uno specifico patto di non concorrenza non esclude che possa configurarsi la, concorrente, violazione dell’obbligo di diligenza da parte dell’agente, ravvisabile in qualunque attività che possa nuocere al preponente.
Nella fattispecie, l’agente aveva assunto l’iniziativa di stornare i collaboratori del preponente per indirizzarli verso l’iniziativa, imprenditoriale, che intendeva avviare.
L’agente ha ammesso il “tentativo”, difendendosi sulla base del rilievo che la sua condotta era rimasta privo di effetti e, pertanto, di danno.
La sentenza in esame ha evidenziato gli innegabili riflessi negativi di tale comportamento, idoneo a far venir meno l’elemento fiduciario, alla luce della violazione dell’obbligo di fedeltà.
La Corte ha, infatti, rammentato che l’istituto del recesso per giusta causa, previsto dall’art. 2119 c.c. in relazione al contratto di lavoro subordinato, è applicabile anche al contratto di agenzia, dovendosi tuttavia tener conto, per la valutazione della gravità della condotta, che in quest’ultimo ambito il rapporto di fiducia assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato.
Ne consegue che, ai fini della legittimità del recesso, è sufficiente un fatto di minore consistenza e nella condotta dell’agente è stato ravvisato l’implicito accertamento dell’animus nocendi, sotteso al tentativo di “storno” di agenti, suscettibile di recare danno (cfr. Cass. nn. 31203/2017, 13424/2008 e 6079/1996).