Vizio funzionale e vizio genetico nel patto di prova, cambiano le conseguenze del recesso illegittimo (C. App. Milano 9.12.2020 n. 888, rel. Mantovani)

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Ritorna la vexata quaestio circa le conseguenze del recesso intimato, ex art. 2096 c.c., sulla base di un patto di prova viziato.

Invero, quando si controverte sulla – asserita – illegittimità del recesso intimato durante il periodo di prova, risulta prioritaria l’indagine sulla validità del patto stesso, poiché la tutela applicabile muta a seconda che la risoluzione del rapporto sia basata su una clausola nulla, o meno.

La giurisprudenza ha operato una netta distinzione tra vizi funzionali e vizi genetici.

I vizi funzionali non pregiudicano la validità del patto, ma determinano la sola illegittimità del recesso.

Rappresenta, ad esempio, un vizio funzionale del patto di prova l’assegnazione, in concreto, di mansioni diverse da quelle indicate nella clausola accessoria.

In questo caso – «qualora [cioè] il licenziamento intimato nel corso del periodo di prova sia illegittimo, ma il patto sia valido»NON OPERANO «l’art. 18 Stat. lav., l’art. 8 della l. n. 604/1966, , in caso di contratto a tutele crescenti, il d.lgs. n. 23/2015» (da ultimo C. App. Milano 9.12.2020, n. 888), MA LO SPECIALE REGIME DEL RECESSO IN PERIODO DI PROVA, che prevede «il diritto del lavoratore alla prosecuzione dell’esperimento, ove possibile, ovvero al ristoro del pregiudizio sofferto» (Cass. 3.12.2018, n. 31159).

Determinano, invece, la nullità del patto di prova i vizi genetici, quali:

  • il difetto di forma scritta;
  • la formalizzazione intervenuta in un momento successivo all’inizio della prestazione lavorativa;
  • la mancata specificazione delle mansioni da espletarsi.

In questo caso «Il licenziamento (…) non è sottratto all’applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti, sicché la tutela da riconoscere al prestatore di lavoro è quella prevista dall’art. 18 st. lav. ove il datore di lavoro non alleghi e dimostri l’insussistenza del requisito dimensionale, ovvero quella riconosciuta dalla l. n. 604 del 1966, in difetto delle condizioni necessarie per l’applicabilità della tutela reale» [ovvero quella prevista dal d.lgs. n. 23/2015, nel caso di lavoratori assunti dopo il 7.3.2015, Trib. Monza 14.2.2020, n. 103] (Cass. 12.9.2016, n. 17291 secondo cui «la Corte territoriale» aveva “errato” «nel ritenere che la nullità del patto di prova vanificasse gli effetti del recesso determinando, per ciò solo, la ricostituzione del rapporto, dovendo, al contrario, trovare applicazione la disciplina ordinaria sui licenziamenti»).

I profili di invalidità denunciati dal lavoratore, dunque, incidono diversamente sul piano della tutela applicabile (cfr. anche Cass. n. 31159/2018, già segnalata su questo blog e rinvenibile al seguente link).

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