La vicenda esaminata dalla Cassazione sarebbe, in punto di fatto, anche interessante, ma la motivazione piuttosto succinta impedisce di comprendere appieno i vari passaggi.
Il Tribunale di Ancona aveva, infatti, dichiarato la sussistenza di un rapporto affectio ac benevolentiae cause in luogo della asserita collaborazione domestica, sulla base del rilievo secondo cui «nel corso del decennio nulla era stato chiesto e corrisposto a titolo di retribuzioni» (pagamenti in nero?).
La Corte di Appello aveva, viceversa, accertato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato part time, sentenza confermata in grado di legittimità.
Una delle domande, proposte dal datore di lavoro e respinta dalla Cassazione, riguardava il contenuto della condanna alle differenze retributive.
Parte ricorrente aveva rilevato come la lavoratrice non avesse espressamente chiesto il versamento dei contributi previdenziali.
La Cassazione ha, invece, ribadito che le somme cui è condannato il datore di lavoro in favore del lavoratore vanno liquidate al lordo, e non al netto, delle ritenute fiscali e previdenziali (nello stesso senso Cass. 26.7.2002, n. 11121; Cass. 21.2.2001, n. 2544 e Cass. 18.8.2000, n. 10942).
Indubbiamente, l’obiter dictum è pesante come un macigno.