Tra autonomia e subordinazione: i c.d. mini appalti (Cass. 20.5.2020 n. 9308, rel. Cinque)

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La vicenda, in realtà, si risolve per il semplice fatto che la Sezione Lavoro della Suprema Corte di allinea all’orientamento giurisprudenziale, pacifico, in virtù del quale il combinato disposto di cui agli artt. 61 e 69 del D.Lgs. n. 276/2003 «palesa l’intenzione di vietare (…) il ricorso a collaborazioni coordinate e continuative che non siano riconducibili ad uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso», allo scopo di porre un abuso a tale figura giuridica, «in considerazione della frequenza con cui giudizialmente ne veniva accertata la funzione simulatoria di rapporti di lavoro subordinato» (nello stesso senso Cass. n. 17127/2016).

L’indiscutibile fantasia difensiva di chi ha proposto ricorso ha, tuttavia, sollecitato la risposta della Suprema Corte, che si è pronunciata, sia pure incidenter tantum, su un paio di aspetti di sicuro interesse.

Un primo tentativo di difesa ha inteso inquadrare i rapporti intercorsi con quattro artigiani nel contratto di “mini appalto” di cui all’art. 1655 c.c. e ss., «così come prevede il codice civile per opere di modeste dimensioni e con l’organizzazione di modesti mezzi strettamente necessari per l’esecuzione di opere».

Su questo aspetto la Corte di Cassazione si è trovata d’accordo con la Corte d’Appello di Brescia, che aveva escluso un contratto di appalto per le seguenti ragioni:

  1. Continuità della prestazione esclusivamente in favore della società;
  2. Durata annuale delle prestazioni eseguite;
  3. Pagamenti a cadenza mensile che coprivano l’intero anno;
  4. Quotidianità della prestazione lavorativa;
  5. Coordinazione e connessione funzionale con l’organizzazione aziendale.

Per altro verso, parte ricorrente ha fatto presente come fossero, quantomeno, ravvisabili dei contratti di lavoro autonomo, che i giudici di seconde cure avevano identificato «erroneamente (…) tale tipologia di lavoratori con quelli esercenti la piccola impresa».

La sferzata della Suprema Corte è stata decisa: «La Corte territoriale non ha affermato la equiparazione “lavoro autonomo – piccola impresa”, ma attraverso il riscontro degli indici sintomatici sopra esposti ha ritenuto che la prestaizone era rigorosamente coordinata e continuata. Anzi, la Corte di merito ha reputato possibile la coesistenza della qualità di “piccolo imprenditore – lavoratore subordinato” ma ha dato correttamente prevalenza, più che al dato formale, alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro».

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