Quando ci si trova di fronte a un gruppo di società, esordisce la Cassazione, i rapporti di lavoro dei dipendenti vanno imputati rispettivamente alle società che ne sono titolari.
Ciò a meno che non sia riscontrabile una utilizzazione impropria dello schema societario, e pur esistendo di fatto un “unico centro d’imputazione del rapporto di lavoro” lo stesso sia solo apparentemente frazionato in più imprese.
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, il collegamento economico – funzionale tra imprese non è, di per sé solo, sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all’altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro.
Tale situazione ricorre ogni volta vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico – funzionale e ciò venga rivelato dai seguenti requisiti:
- Unicità della struttura organizzativa e produttiva;
- Integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune;
- Coordinamento tecnico ed amministrativo – finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune;
- Utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori (Cass. n. 19023/2017).
La Suprema Corte ha rilevato come l’esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto vada accertata dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 3482/2013), e, nella fattispecie, la Corte di Appello di Roma che l’aveva esclusa con motivazione che non è stata censurata, circostanza che ha chiuso la discussione sul punto.
È, tuttavia, interessante rilevare che nei precedenti gradi di giudizio la lavoratrice, pur affermando di aver prestato la propria opera anche in favore di altra società, non aveva dedotto l’esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto, per cui tale altra società non era stata evocata in giudizio.
Conseguentemente – ecco il punto che interessa – la Corte di Appello di Roma si era limitata a valutare la situazione con riguardo alla sola società convenuta in giudizio, e, con riferimento alla stessa, aveva accertato che non vi fosse, al momento del recesso, la possibilità di rimpiegare la lavoratrice, neppure con mansioni inferiori.