L’indagine della Cassazione muove dal principio affermato con specifico riferimento alla materia del preavviso e dell’indennità sostitutiva di preavviso (sentenza n. 9386 del 2001).
E cioè il principio secondo cui, in base a quanto dispone l’art. 1753 cod. civ., la disciplina degli agenti di assicurazione è contenuta negli usi e negli accordi collettivi del settore e solo in mancanza di questi è consentito applicare in via analogica le norme del codice civile in materia di agenti di commercio.
Pertanto, ove il rapporto dell’agente di assicurazione sia disciplinato da apposito accordo collettivo, è quest’ultimo ad essere applicabile in via esclusiva, prevalendo, in caso di contrasto, sulle correlative disposizioni codicistiche previste per l’agente di commercio.
Ciò premesso, la Corte prosegue rilevando che tale principio ha senz’altro valenza generale ed è applicabile anche all’indennità di fine rapporto.
Invero, ai sensi dell’art. 1753 cod. civ., le disposizioni del Capo X (Contratto di agenzia) si applicano anche agli agenti di assicurazione in quanto non derogate dalle norme corporative o dagli usi ed in quanto compatibili; quindi si applica agli agenti di assicurazione la disposizione di cui all’art. 1751 cod. civ. purché non derogata dagli accordi collettivi concernenti gli agenti e purché compatibile.
Ebbene, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 4988 del 2015, Cass. n. 421 del 2019) ha già riconosciuto l’attuale vigenza del contratto collettivo corporativo del 25 maggio 1939 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 12 dicembre 1939 ed avente efficacia normativa erga omnes e pubblicità legale, in quanto adottato ex lege n. 741 del 1959), a norma del D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369, art. 43 (secondo cui: “Per i rapporti collettivi ed individuali, restano in vigore, salvo le successive modifiche, le norme contenute nei contratti collettivi, negli accordi economici, nelle sentenze della magistratura del lavoro e nelle ordinanze corporative di cui alla L. 3 aprile 1926, n. 563, artt. 10 e 13, alla L. 5 febbraio 1934, n. 163, artt. 8 e 11 e al D.L. 9 agosto 1943, n. 721, artt. 4 e 5”), contratto corporativo recepito, per la disciplina d’interesse, dal D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 2, conv. in L. n. 326 del 2003.
Inoltre, in analogia con quanto avviene con la contrattazione collettiva per il lavoro subordinato, gli accordi collettivi degli agenti (di assicurazione e di commercio) vanno ritenuti quali usi o, comunque, sostitutivi delle norme corporative, essendo, altresì, ragionevole invocare il principio di c.d. ultrattività della contrattazione collettiva a fronte della costante applicazione, senza soluzione di continuità, degli accordi nazionali agenti pur se scaduti e disdettati.
Va, infine, detto che troverebbe comunque applicazione l’Accordo Nazionale Agenti del 1951, che ha assunto natura ed efficacia di legge erga omnes in virtù del D.P.R. n° 387 del 1961.
L’art. 1751 cod.civ. non trova, dunque, applicazione agli agenti di assicurazioni, prevalendo gli accordi collettivi nazionali.
Da un punto di vista della compatibilità della soluzione esegetica con il quadro europeo, la Corte sottolinea che l’art. 1751 cod.civ. costituisce recepimento della direttiva 86/653/CEE, il cui ambito di applicazione riguarda solamente gli agenti commerciali (cfr. art. 1, comma 1 nonché comma 2 “ai sensi della presente direttiva per «agente commerciale» si intende la persona che, in qualità di intermediario indipendente, è incaricata in maniera permanente di trattare per un’altra persona, qui di seguito chiamata «preponente», la vendita o l’acquisto di merci, ovvero di trattare e di concludere dette operazioni in nome e per conto del preponente”). D’altra parte, la Corte di Giustizia CE, con l’ordinanza del 6 marzo 2003 sub 2O03/C-146/21, ha chiarito il campo di applicazione della citata direttiva anche nella prassi applicativa e giurisprudenziale, affermando che “gli intermediari assicurativi non rientrano nel suo ambito di applicazione”.
Ecco perché, ad avviso della Suprema Corte, sia per diritto interno (art. 1753 cod. civ.) sia per diritto comunitario (art. 1 Direttiva 86/653/CEE), l’art. 1751 cod.civ. trova applicazione solamente per gli agenti di commercio, non già per quelli di assicurazioni.
Tale differente regime giuridico trova, altresì, giustificazione nella specificità economico-sociale del contratto e degli attori assicurativi.
Gli agenti assicurativi vendono contratti e servizi, non già merci, e collocare o assumere un rischio, per riallocarlo suddividendolo demograficamente, è certo tutt’altra scienza che vendere dei prodotti o servizi oppure un marchio o un nome.
E tali specificità portano, secondo certa dottrina, a far ritenere l’agente assicurativo un imprenditore commerciale ai sensi dell’art. 2195 cod.civ., primo comma, n. 2, ponendosi in un rapporto giuridicamente paritario con la compagnia preponente: sono due imprenditori, reciprocamente autonomi e ciascuno dei quali responsabile della propria organizzazione, il cui contratto di agenzia si sostanzia in un contratto di distribuzione, o meglio ancora (non essendoci acquisto da parte del distributore dei beni distribuiti) in un contratto in materia di distribuzione.