La Cassazione ha ribadito il recente orientamento interpretativo secondo cui, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il lavoratore ha l’onere di dimostrare il fatto costitutivo dell’esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato così risolto, nonché di allegare l’illegittimo rifiuto del datore di continuare a farlo lavorare in assenza di un giustificato motivo, mentre incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e di prova dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo, che include anche l’impossibilità del c.d. repechage, ossia dell’inesistenza di altri posti di lavoro in cui utilmente ricollocare il lavoratore (Cass. n. 12101/2016. Nello stesso senso Cass. nn. 160/2017 e 5592/2016).
La giurisprudenza di legittimità ha precisato che grava sul datore di lavoro, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore, l’onere di provare in giudizio che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di manioni equivalenti, ma anche, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, di aver prospettato al dipendente, senza ottenerne il consenso, la possibilità di reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale (Cass. n. 4509/2016).
Ciò in quanto la soppressione del posto cui era addetto il lavoratore, qualora questi svolgeva ordinariamente in modo promiscuo mansioni inferiore, oltre quelle soppresse, sussiste a carico del datore di lavoro l’obbligo di repeghare anche in ordine alle mansioni inferiori (Cass. n. 13379/2017).
Per la Corte incombe, dunque, sul datore di lavoro l’onere di allegare e dimostrare il fatto che rende legittimo l’esercizio del potere di recesso, ossia l’effettiva sussistenza di una ragione inerente l’attività produttiva, l’organizzazione o il funzionamento dell’azienda nonché l’impossibilità di una diversa utilizzazione del lavoratore all’interno dell’azienda.