Materia del contendere era la seguente pattuizione: «La nostra società si riserva fin d’ora la facoltà a propria insindacabile discrezione, di aderire al patto di non concorrenza qui di seguito previsto comunicandole la propria volontà a mezzo di raccomandata a.r. o a mani all’atto di risoluzione del rapporto di lavoro, per qualunque causa essa sia intervenuta, e segnatamente: a) all’atto della comunicazione di recesso da parte della nostra società; b) entro 8 giorni lavorativi dal ricevimento di sua comunicazione di dimissioni, nel caso in cui questa pervenisse alla società anteriormente al termine di cui al punto che immediatamente precede. Decorsi tali termini senza che Le sia pervenuta la comunicazione di cui al punto 1.1.1 o in assenza di comunicazioni per quanto previsto al punto 1.1.2. la società sarà automaticamente sollevata dal versamento di qualsiasi importo a suo favore in relazione all’obbligo di non concorrenza di cui al presente patto, e specularmente, Lei sarà libero da ogni vincolo qui di seguito previsto».
Per il lavoratore, la clausola inerente l’opzione era nulla ed il patto di non concorrenza si era già prefezionato con la relativa pattuizione, impedendogli di progettare per questa parte il proprio futuro lavorativo e comprimendo quindi la sua libertà.
Secondo la Corte, invece, il patto di non concorrenza non poteva dirsi già perfezionato, considerando che – nella struttura tipica prevista dall’ordinamento – la parte vincolata all’opzione, ossia alla propria dichiarazione, non è tenuta alla prestazione contrattuale finale finché la controparte non accetta.
È stata richiamata, sul punto, la sentenza n. 17542/2017 della Cassazione.
In quel caso la Cassazione, rigettando in sede di legittimità la domanda originariamente proposta da una lavoratrice, dopo aver precisato come non possa farsi riferimento a decisioni della giurisprudenza di legittimità in cui era controversa la legittimità o meno dell’apposizione di una clausola di recesso unilaterale all’interno di un patto di non concorrenza già perfezionato, ha affermato: «Orbene, come è noto – e come correttamente sottolineato dalla parte ricorrente – l’opzione determina la nascita di un diritto a favore dell’opzionario che conclude automaticamente il contratto, soltanto nel caso in cui venga esercitata. Si tratta, quindi, di un diritto potestativo, poiché ad esso corrisponde, dal lato passivo, una posizione di soggezione, dato che, ad esclusiva iniziativa dell’opzionario, il concedente può subire la conclusione del contratto finale. Lo schema di perfezionamento non è quello della proposta-accettazione, ma quello del contratto preparatorio di opzione, seguito dall’esercizio del suddetto diritto, mediante una dichiarazione unilaterale recettizia entro un termine fissato nel contratto stesso o, in mancanza, dal giudice. E, dunque, scaduto tale termine, l’opzione viene meno, trattandosi di un termine di efficacia di un contratto e non di irrevocabilità della proposta».
Si tratta di argomentazioni che il Collegio ha ritenuto di condividere, in quanto perfettamente sovrapponibili (a suo modo di vedere) alla fattispecie in esame, in cui era pacifico che parte appellata non avesse esercitato la facoltà contrattualmente prevista di adesione al patto di non concorrenza entro il termine di otto giorni dalle dimissioni.