L’onere di provare il licenziamento orale è a carico del lavoratore, non viceversa (Cass. 9.7.2019 n. 18402, rel. Amendola)

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La Cassazione ha stabilito la regula iuris secondo cui «Il lavoratore subordinato che impugni un licenziamento allegando che è stato intimato senza l’osservanza della forma prescritta ha l’onere di provare, quale fatto costitutivo della sua domanda, che la risoluzione del rapporto di lavoro è ascrivibile alla volontà del datore di lavoro, anche se manifestata con comportamenti concludenti».

Pertanto, «la mera cessazione nell’esecuzione delle prestazioni non è circostanza di per sé sola idonea a fornire tale prova».

Morale: «Ove il datore di lavoro eccepisca che il rapporto si è risolto per le dimissioni del lavoratore, il giudice sarà chiamato a ricostruire i fatti con indagine rigorosa anche avvalendosi dell’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio ex art. 421 c.p.c.».

Solo nel caso perduri l’incertezza probatoria, «[il giudice] farà applicazione della regola residuale desumibile dall’art. 2697, co. 1, cod. civ., rigettando la domanda del lavoratore che non ha provato il fatto costitutivo della sua pretesa»(nello stesso senso Cass. n. 3822/2019 e Cass. n. 13195/2019. Cfr. anche Cass. n. 31501/2018).

Nella fattispecie la Suprema Corte ha, dunque, riformato la sentenza 23.11.2017 della Corte d’Appello di Genova, ad avviso della quale la c.d. ‘estromissione’ del lavoratore dal posto di lavoro inverte l’onere probatorio, ponendo a carico del datore l’onere di provare un fatto estintivo del rapporto diverso dal licenziamento, di modo che per il lavoratore sarebbe sufficiente dimostrare l’intervenuta cessazione del rapporto di lavoro, costringendo il datore di lavoro a dimostrare che il rapporto è venuto meno per ragioni diverse.

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