Il punto di origine del confronto giurisprudenziale è la sentenza 12.2.2014 n. 308 con cui il Tribunale di Agrigento aveva dichiarato la nullità del termine apposto ai contratti di somministrazione per cui era causa; dopo di che la lavoratrice, con telegramma 2.4.2014, aveva offerto le proprie energie lavorative alla società che risultava, dall’1.11.2012, cessionaria dell’azienda gestita dall’originario datore di lavoro.
Il Tribunale di Palermo, successivamente adito, ha respinto la domanda della lavoratrice, per la ritenuta maturazione del termine di decadenza fissato dall’art. 32, comma 4, lett. c) della L. n. 183/2010.
Tale provvedimento è stato confermato dalla Corte d’Appello di Palermo con sentenza 9.12.2016.
Secondo il giudice del gravame, il termine decadenziale doveva ritenersi operante anche al caso, diverso da quello in cui si contesta la legittimità del trasferimento d’azienda, in cui si invochi il riconoscimento del diritto, negato, di proseguire il rapporto presso il cessionario.
Né poteva rilevare in senso contrario, secondo il collegio, la circostanza che il rapporto di lavoro fosse stato dichiarato costituito solo con la citata sentenza n. 308/2014.
La decorrenza dei termini, è il ragionamento della Corte d’Appello di Palermo, non poteva ritenersi impedita dalla pendenza del giudizio volto all’accertamento della nullità del termine apposto al contratto di somministrazione, né poteva reputarsi precluso all’interessata l’esercizio dei diritti che da tale cessione le derivavano.
La Cassazione si è pronunciata cum grano salisritenendo «erronea»la tesi seguita dalla sentenza impugnata.
Ad avviso della Suprema Corte, la cessione dei contratti di lavoro nell’ipotesi di trasferimento di azienda avviene automaticamente ai sensi dell’art. 2112 c.c. e, nella fattispecie, si era verificata fin dall’1.11.2012.
Pertanto non vi era alcuna necessità, né onere per il lavoratore, di far valere formalmente nei confronti del cessionario l’avvenuta prosecuzione del suo rapporto di lavoro con quest’ultimo, poiché tale prosecuzione era avvenuta ope legis.
Per la Cassazione risulta, dunque, evidente che a dover far valere tale impugnazione nel termine di cui all’art. 32, comma 4, lett. c), L. n. 183/2010 sia unicamente il lavoratore che intenda contestare la cessione del suo contratto di lavoro exart. 2112 c.c.
Del resto, osserva la Suprema Corte, l’art. 32 comma 4, lett. c) cit. prevede l’applicabilità anche alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’art. 2112 c.c. delle disposizioni in materia di impugnazione del licenziamento di cui all’art. 6 (novellato) della L. n. 604/1966 e, dunque, per quanto nella fattispecie interessava, in materia di «impugnazione della cessione del contratto di lavoro per effetto del trasferimento ex art. 2112 c.c.», in sostanza allorquando venga impugnata la detta cessione e non certo nel caso in cui la persegua.