Duty to minimize: la Cassazione (7.2.2019 n. 3655, rel. Balestrieri) torna ad esprimersi in inglese e ribadisce che l’eccezione di aliunde perceptum presuppone l’allegazione di circostanze specifiche

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Il provvedimento segnalato rappresenta il culmine di una vicenda articolata, che merita pertanto di essere riassunta, sia pure per sommi capi.

Le parti dibattevano circa la legittimità, o meno, del licenziamento per giusta causa irrogato ad un lavoratore il quale, «nella serata dell’ultimo giorno di malattia (dal 5 al 9 ottobre 2015) era stato visto, dalle ore 20 alle ore 22, presso il ristorante – pizzeria della moglie (…) mentre provvedeva alla preparazione di pizze ed alla relativa cottura in forno, oltre che alla consegna di pizze da asporto ed incasso dei relativi pagamenti».

Il giudice di appello aveva considerato tale fatto «privo del carattere dell’antigiuridicità».

La Cassazione Corte ha dato continuità alla pronuncia impugnata, giudicando “infondato” il motivo di ricorso con cui il datore di lavoro aveva denunciato l’asserita violazione del contratto collettivo di categoria e degli artt. 1175 e 1375 c.c.

Nell’ambito di tale vicenda il datore di lavoro, dolendosi «della mancata detrazione, dal disposto risarcimento del danno, dell’aliunde perceptum e percipiendum», si era altresì lamentato «della mancata adozione dell’ordine di esibizione richiesto (…) nei confronti del [lavoratore]», istanza ritenuta esplorativa dal giudice di merito.

Secondo la Corte «tale censura non è meritevole di accoglimento essendo notoriamente a carico della datrice di lavoro dimostrare, al fine di veder ridurre il risarcimento del danno ex art. 1227 c.c., la percezione di altri redditi od utilità economiche conseguite dal lavoratore a seguito del licenziamento, così come la prova della sua colpevole inerzia al fine di ridurre il danno (duty to minimize)».

Ecco i precedenti richiamati: Cass. n. 11122/2016, Cass. n. 9616/2015, Cass. n. 12997/2004, Cass. n. 10043/2004 e Cass. n. 5908/2004.

«La sentenza impugnata», prosegue la motivazione del provvedimento, «evidenziando l’onere della prova gravante sul datore di lavoro e la necessità che la documentazione richiesta non sia acquisibile aliunde, si è peraltro attenuta al principio sul punto recentemente rimarcato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 2499/17) secondo cui in tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che invochi l’aliunde perceptum” da detrarre dal risarcimento dovuto al lavoratore deve allegare circostanze specifiche e, ai fini dell’assolvimento del relativo onere della prova su di lui incombente, è tenuto a fornire indicazioni puntuali, rivelandosi inammissibili richieste probatorie generiche o con finalità meramente esplorative».

Nello specifico, sono state ritenute “generiche” e caratterizzate da “finalità meramente esplorative” le richieste «dirette cioé, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 210 c.p.c., a verificare solo l’eventuale esistenza di documenti di supporto alla tesi attorea, laddove la citata norma del codice di rito richiede la prova del possesso dei documenti da parte del destinatario dell’ordine di esibizione, cfr., ex plurimis, Cass. ord. n. 23120/10».

L’orientamento espresso dalla Cassazione sarà anche consolidato, ma risulta difficile da condividere: non v’è chi non veda quali distonie determini nel caso concreto…

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