La Suprema Corte ha dato continuità all’orientamento (cfr. Cass. 2.2.2012, n. 1464) in virtù del quale il datore di lavoro non può pretendere di ripetere somme al lordo delle ritenute fiscali, allorché le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (nello stesso senso Cons. Stato 2.3.2009, n. 1164 con riferimento al rapporto di pubblico impiego).
Nella fattispecie il datore di lavoro aveva chiesto, ed ottenuto, decreto ingiuntivo per l’integrale restituzione delle somme percepite, a quel punto indebitamente, dal lavoratore in esecuzione della sentenza di primo grado successivamente riformata.
In sede di opposizione il Tribunale aveva circoscritto il provvedimento alla somma capitale, pronuncia confermata dalla Corte d’Appello.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che correttamente la sentenza impugnata abbia inquadrato il caso in esame nelle ipotesi di inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento.
L’obbligo fiscale sorto da una sentenza poi riformata, infatti, secondo una fisiologica dinamica processuale, è venuto meno per effetto della parziale riforma in appello, sicché correttamente deve ritenersi che si ricada nell’ipotesi di inesistenza dell’obbligo di versamento o di errore.
Importante è il distinguo conclusivo della Cassazione, riferito alla pronuncia n. 23886/2007.
Secondo tale sentenza il debitore principale verso il fisco è il percettore del reddito imponibile e non il sostituto che esegua la ritenuta ed il successivo versamento, onde è al medesimo debitore principale che compete il diritto di ripetere quanto eventuale pagato in eccesso.
La Suprema Corte ha precisato che tale principio riguarda esclusivamente i rapporti tra sostituto d’imposta, sostituito e fisco (in tal senso cfr. Cass. n. 239/2006), ma non afferma che al lavoratore sostituito possa essere richiesto quanto versato da sostituto ad un terzo, cioè all’amministrazione finanziaria.