Il tema processuale affrontato dalla Cassazione riguarda gli effetti che, sull’appello nel c.d. rito lavoro, producono i vizi inerenti la notificazione degli atti attraverso cui, con la fissazione da parte del giudice dell’udienza di discussione, si provvede all’instaurazione del contraddittorio.
La Corte distingue due ipotesi:
- l’omessa, o giuridicamente inesistente, notificazione del ricorso introduttivo;
- la mera nullità della vocatio in ius.
(1) Quanto al primo caso, l’omessa, o giuridicamente inesistente, notificazione del ricorso introduttivo determina l’improcedibilità dell’appello, purchè l’appellante sia giunto a conoscenza del decreto di fissazione dell’udienza (Cass. n. 19176/2016) ed a condizione che la predetta inesistenza non derivi da causa non imputabile al ricorrente, nel qual caso opera la regola generale della possibile rimessione in termini ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c. (Cass. n. 1175/2015).
(2) Quanto al secondo caso, la mera nullità della vocatio in ius è, invece, sanabile nelle varie forme a tal fine regolate dalla legge. Quindi: 1.1. a fronte di notificazione eseguita senza il rispetto del termine a comparire, il giudice è tenuto a disporne la rinnovazione (Cass. n. 10775/2016); 1.2. in relazione al rito “Fornero” e sul presupposto che esso, avendo natura di appello, resti regolato dalla “disciplina generale dettata per le impugnazioni dal codice di rito”, in caso di mancato rispetto del termine a comparire, legittimamente il giudice dispone la dilazione dell’udienza onde consentire il rispetto dei termini a difesa, in luogo di dichiarare improcedibile il gravame (Cass. n. 22780/2016).
Il tutto «nell’ambito di un più generale indirizzo in tal senso, comune anche ad altri riti in cui le fasi impugnatorie risultano introdotte con decreto» (ad es. Cass. n. 20369/2014 in tema di opposizione allo stato passivo fallimentare).
Tale orientamento, per la Suprema Corte, «oltre a risultare univoco, è coerente con il contesto delle norme processuali interessate e con i principi della materia».
Il quadro che ne risulta «è completo e coerente nel senso che:
- si applica l’art. 291, comma 1, in caso di notifica nulla, che va quindi rinnovata nel termine perentorio concesso dal giudice (con norma ritenuta applicabile al rito lavoro: in primo grado da Cass. n. 2621/2017; in appello da Cass. n. 19818/2013 ed in sede di rinvio da Cass. n. 17656/2009»;
- si applica l’art. 164, comma 2, c.p.c. (che non vi è ragione di non estendere al rito lavoro), con rinnovazione della fase di vocatio in ius, se la notifica sia validamente avvenuta ma senza rispetto dei termini e non vi sia stata costituzione dell’appellato;
- si applica l’art. 164, comma 3, c.p.c., con mera regolarizzazione della fase introduttiva mediante dilazione dell’udienza, se la notifica sia validamente avvenuta, ma senza rispetto dei termini a comparire, e segua costituzione dell’appellato ed eccezione da parte sua in merito al mancato rispetto di tali termini (Cass. n. 22780/2016)».
In definitiva, conclude la Cassazione, «a fronte di una disciplina espressa e completa che modula i tempi e i modi attraverso cui si può avere (o non avere, ma solo ove la parte non osservi gli incombenti eventualmente a suo carico) la sanatoria delle invalidità diverse dall’inesistenza della vocatio in ius, non è ammissibile che l’interprete possa ricorrere in via autonoma ad una diversa perimetrazione dei principi costituzionali di ragionevole durata o giusto processo, onde far scaturire effetti diversi ed eventualmente anche più gravi (quale l’improcedibilità dell’appello) di quelli delineati dal sistema proprio delle norme processuali esistenti».