La Cassazione, di volta in volta, è stata chiamata a dare concreta attuazione ai principi stabiliti dal Giudice delle Leggi con le, risalenti, sentenze emesse a proposito degli artt. 2948, n. 2; 2955, n. 2 e 2956, n. 1 c.c. in materia di prescrizione dei crediti retributivi.
Com’è noto, l’arresto della giurisprudenza costituzionale (certamente attuale fino alla riforma del 2012) è che mentre nel pubblico impiego la prescrizione dei crediti di lavoro decorre in costanza di rapporto, nei rapporti privatistici ciò è (era…?) possibile solo laddove il lavoratore non abbia il timore di subire la risoluzione del rapporto stesso.
Vale a dire, per le ipotesi in cui opera il regime di stabilità reale.
Con l’importante sentenza in esame, la Suprema Corte ha stabilito che la prescrizione dei crediti del lavoratore non decorre in costanza di un rapporto di lavoro formalmente autonomo, del quale sia stata successivamente riconosciuta la natura subordinata con garanzia di stabilità reale in relazione alle caratteristiche del datore di lavoro.
In tal caso, osserva il Collegio, il rapporto è – nel suo concreto atteggiarsi – di natura subordinata e, cionondimeno, restando formalmente autonomo, non è immediatamente garantito, non essendo possibile, in caso di recesso datoriale, la diretta applicabilità della disciplina garantista, che potrebbe derivare solo dal futuro (ed eventuale) riconoscimento della natura subordinata del rapporto (nello stesso senso Cass. 23.1.2009, n. 1717).